contribuzione Enpaf facoltativa per i farmacisti dipendenti che già possiedono altra previdenza obbligatoria e per i disoccupati iscritti all’albo.
possibilità di restituzione dei contributi previdenziali Enpaf per quei farmacisti che, avendo altra previdenza obbligatoria, opteranno per la cancellazione da Enpaf, nonchè di quelli silenti.
contribuzione Enpaf legata al reddito e non più a quota fissa per i farmacisti iberi professionisti che hanno questo ente come previdenza di primo pilastro, borsisti compresi.
Chiediamo semplicemente un adeguamento di Enpaf alle Casse di “nuova generazione”, istituite nel 1996 . Tale Casse nascono per i soli liberi professionisti, con aliquote contributive legate al reddito e senza l’iscrizione d’ufficio.
Enpaf rappresenta un’anomalia nel sistema della previdenza italiana. Fare uscire i dipendenti dall’ente, rendendolo per loro facoltativo, costituirebbe un forma di tutela per le fasce più deboli della categoria dei farmacisti.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO QUESTA LETTERA. UN’ALTRA DENUNCIA DELL’ ENORME DIFFICOLTA’ IN CUI I NOSTRI ISCRITTI VERSANO, A CAUSA DI ENPAF, NELL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI FARMACISTA COLLABORATORE.
Salve a tutti, sono un farmacista dipendente e vorrei comunicare un disagio tremendo che, a causa di interessi malsani, sembra non riesca a sfondare il proverbiale muro di gomma.
Quando mi sono abilitato all’esercizio della professione e mi sono iscritto all’Ordine dei Farmacisti, sono stato iscritto d’ufficio anche ad ENPAF, un secondo ente previdenziale obbligatorio che affianca la nostra previdenza di primo pilastro (INPS). ENPAF è un Ente Previdenziale a prestazione fissa, il che vuol dire che richiede immediatamente il pagamento della quota massima di 4500 euro/anno a tutti i farmacisti abilitati, i quali in un secondo momento possono chiedere una riduzione dell’85% (720 euro/anno per avere, dopo 30 anni, una pensione integrativa di 50 euro/mese) oppure chiedere di pagare un “contributo di solidarietà” di circa 180 euro all’anno (non utile a fini pensionistici, di fatto “a fondo perduto”). Pur risultando stagista per sei mesi post-lauream e successivamente dipendente di farmacia, per una serie di disguidi, ENPAF non ha recepito la mia volontà di aderire alla riduzione (quale farmacista neolaureato pagherebbe 4500 euro/anno senza aver mai lavorato?!?) ed ha applicato la quota massima di 4500 euro per i primi due anni di attività professionale.
Il risultato è stato disastroso: una cartella esattoriale di oltre diecimila euro ad un farmacista appena laureato, con l’unica motivazione del “non rispetto” del criterio temporale, pur avendo i requisiti richiesti per accedere alla riduzione. Con il tempo, sono venuto a conoscenza di tutto un sottobosco di azioni di ENPAF nei confronti dei farmacisti dipendenti, la più palese delle quali è la seguente: se un farmacista non riesce a mantener il proprio lavoro per 6 mesi ed un giorno , ENPAF gli chiede 2240 euro/anno, facendo quindi pagare il farmacista che sia disoccupato, il quale resta comunque iscritto all’Ordine dei Farmacisti (con il solo fine di risultare competitivo in ambito professionale), ma è alla continua e DISPERATA ricerca di un lavoro.
Ho conosciuto centinaia di colleghe che si impegnano a lunghe e costose trasferte al Nord, lasciando a casa figli piccoli e marito esclusivamente per raggiungere i proverbiali “6 mesi ed un giorno di lavoro” per non pagare quella esosa quota.
Conosco colleghi numerosi che si sono visti costretti ad espatriare per esercitare questa splendida professione senza l’obolo di ENPAF, così come molti altri si sono cancellati dall’ordine andando a fare chissà quale lavoro non inerente al percorso di studi.
Dal canto mio, una lunga e costosa rateizzazione mi consente di sopravvivere, restando in me il profondo senso di ingiustizia e delusione nei confronti di un Ente che nasce per chi non possiede INPS come previdenza di primo pilastro (TITOLARI E LIBERI PROFESSIONISTI, quindi) ma che di fatto impoverisce una categoria di professionisti che già lavorano in condizioni di disagio (paga oraria lorda di 10,40 euro ed un contratto scaduto nel 2013 e mai rinnovato). L’assurdità consiste nel fatto che ad oggi, in Italia, i professionisti iscritti ad un albo sono obbligati all’iscrizione alla cassa di categoria solo quando liberi professionisti: MA CIO’ NON VALE PER NOI FARMACISTI!
Come si può pensare che un disoccupato debba pagare comunque un contributo di solidarietà e, se non trova lavoro per 5 anni, anche un contributo di 2200 euro/anno? Come si fa a sentirsi dei professionisti al servizio della salute dei cittadini in queste condizioni quando le casse di categoria di altre professioni (commercialisti, veterinari, ingegneri) sono state abolite anni fa, ma non la nostra?
Da quando mi sono iscritto a questo comitato, ho sentito di non essere più solo in questa triste battaglia.
Il COMITATO NO ENPAF PER FARMACISTI DIPENDENTI E NON TITOLARI si sta impegnando per aiutare me ed i miei colleghi in queste disperate situazioni. SIAMO DISPERATI, I NOSTRI REFERENTI NON CI ASCOLTANO, I SOLDI CONTANO PIU’ DEI NOSTRI DIRITTI E DELLA NOSTRA DISPERAZIONE.
Grazie per il tempo dedicato alla lettura di questa richiesta di aiuto, distinti saluti,
le norme non sono aggiornate ma sommate una dietro l’altra ( vedi termini richiesta di riduzione)
per le condizioni richieste per la riduzione si fa anche riferimento a commi, in maniera quindi poco chiara.
non si parla di reiscrizione in seguito a cancellazione
non si parla dei requisiti richiesti in caso di iscrizioni successive alla prima per periodi frazionati, ma solo di prima iscrizione.
L’art.21 e’ un pasticcio che si trasforma in una trappola per molti colleghi che devono pagare quote sproporzionate rispetto il reddito percepito,quindi arricchendo l’ente e impoverendosi loro. Il sistema a quota fissa e riduzioni lo possiede SOLAMENTE ENPAF.. Tutte le altre casse hanno le aliquote, un sistema che prevede una scrematura iniziale senza la necessità per gli iscritti di dovere giustificare la propria situazione lavorativa di continuo. Il problema della perdita della riduzione ENPAF si pone quindi soprattutto per i nuovi iscritti, per i precari, per chi cambia lavoro o lascia la professione. Solo il farmacista che lavora a tempo indeterminato in maniera continuativa non ha questo problema della perdita della riduzione.
Art.21 Regoalmento ENPAF (estratto)
La riduzione è concessa su domanda degli interessati e, con esclusione del caso di disoccupazione, può essere richiesta anche per i riscatti di cui all’art. 20. La domanda di riduzione del contributo previdenziale e quella di versamento del contributo di solidarietà, ai sensi del presente articolo, deve essere presentata, a pena di decadenza, entro il 30 settembre dell’anno precedente a quello per il quale si chiede il beneficio; il termine è prorogato al 31 dicembre del medesimo anno nel caso in cui la condizione che consente di richiedere la riduzione ovvero il versamento del contributo di solidarietà sia stata acquisita dopo il 30 settembre. Per coloro che si iscrivano per la prima volta il termine di decadenza per presentare la domanda di riduzione ovvero la domanda di versamento del contributo di solidarietà è fissato al 30 settembre del primo anno in cui i contributi vengono posti in riscossione. In caso di perdita della facoltà di riduzione del contributo previdenziale l’interessato è tenuto a farne denuncia all’ENPAF entro l’anno in cui si è verificato l’evento. A decorrere dal 1° gennaio 2014 la domanda di riduzione del contributo previdenziale e quella di versamento del contributo di solidarietà, deve essere presentata, a pena di decadenza, entro il 30 settembre dell’anno nel quale, l’iscritto si trovi in una delle condizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del presente articolo. La domanda presentata entro il termine di decadenza del 30 settembre, produce effetto a partire dalla contribuzione dell’anno in corso alla data della domanda; per l’iscritto, che si trovi in una delle condizioni di cui al comma 6 del presente articolo, la domanda di riduzione ha effetto a partire dalla contribuzione dell’anno in cui viene presentata solo qualora la condizione medesima sia cessata nell’anno precedente a quello per cui si richiede il beneficio della riduzione ovvero del contributo di solidarietà. Per coloro che si iscrivano per la prima volta, il termine di decadenza per presentare la domanda di riduzione ovvero la domanda di versamento del contributo di solidarietà è fissato al 30 settembre dell’anno successivo a quello di iscrizione all’Ordine; in questo caso la domanda produce effetto a partire dalla contribuzione dell’anno di iscrizione. Per avere diritto a chiedere la riduzione o il versamento del contributo di solidarietà è necessario che l’iscritto si trovi in una delle condizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del presente articolo per un periodo di durata pari, anche per sommatoria, ad almeno sei mesi e un giorno all’interno dello stesso anno solare ovvero ad almeno la metà più un giorno del periodo di prima iscrizione. Ai fini del computo si terrà conto dei giorni di calendario. Il termine di decadenza del 30 settembre è prorogato al 31 dicembre nel caso in cui il periodo utile ai fini della riduzione contributiva o del contributo di solidarietà si raggiunga dopo il 30 settembre, fatta eccezione per i soggetti di cui al comma 6 del presente articolo per cui la proroga ha effetto solo qualora la condizione medesima sia cessata nell’ anno precedente a quello per cui si richiede il beneficio della riduzione ovvero del contributo di solidarietà. “
Alla luce di tutto questo, ci chiediamo ancora perchè moltissimi colleghi perdono la riduzione?
Riceviamo e pubblichiamo, su richiesta di una collega, la lettera che descrive il suo problema con Enpaf. Vi chiediamo di riflettere sull’illogicità di questo anacronistico sistema previdenziale, sui danni che produce. Domandatevi: chi vuole e a chi fa comodo questo “status quo”? Una cosa è certa, questa testimonianza non è che la punta dell’iceberg di numerose situazioni di disagio create da Enpaf.
LA LETTERA Arrivare a metà maggio con l acqua alla gola per cercare al più presto un lavoro e di poter evitare di pagare quelle 2.301€ non è proprio il massimo… Laureata dal 2013 non ho trovato lavori che mi potessero garantire la riduzione Dell 85% e quindi ho usufruito del contributo di solidarietà per 5anni. Quest’anno invece la sorpresa! Disoccupata, con due bimbi piccolini e cercando sempre di trovare un lavoro magari part time, arrivano questi 3bollettini micidiali.. Non so proprio con che logica si possa fare una cosa del genere.. Ho sbagliato a non essermi cancellata entro dicembre dall’ordine.. Convinta che un lavoretto usciva.. E invece mi sono sentita dire che a 32anni e senza esperienza preferisco una neolaureata di 27anni per le tasse diverse che si pagano!! Chi dovrei ringraziare? Che amarezza… Dopo anni di studio.. Di ambizioni… E di sogni… Tutto dovrebbe finire..?!? Sono proprio amareggiata… E dispiaciuta..
Il COMITATO NO ENPAF ha come unico scopo la abolizione dell’obbligatorietà della iscrizione ad ENPAF, che avviene ad oggi contestualmente alla abilitazione all’esercizio della professione.
All’interno della macro-categoria dei farmacisti dipendenti, esiste una grande eterogeneità di situazioni che include lavoratori part-time, precari e disoccupati.
Questa varietà di condizioni si viene presto a scontrare, però, con l’univoco e pavido atteggiamento dell’Ente Previdenziale ENPAF: RISCUOTERE.
I farmacisti dipendenti che decidano di chiedere una riduzione della quota contributiva, hanno due opzioni:
versare il “contributo di solidarietà”: si tratta di donare un contributo a fondo perduto, vale a dire non utile a fini pensionistici. (la semplice constatazione che si tratti di un contributo a fondo perduto, lo rende ipso facto un vero e proprio obolo)
Versare un contributo ridotto dell’85% per ogni anno di lavoro: 720€ all’anno ad ENPAF per avere 50€ di pensione mensile a 68 anni, a condizione di avere 30 anni di versamenti e 20 di esercizio .
L’INTENZIONE DEL COMITATO NO ENPAF
Le iniziative che il Comitato intraprende sono volte al raggiungimento dell’unico obiettivo auspicabile: ottenere che l’obbligo di iscrizione all’ENPAF venga imposto solo a coloro che esercitano l’attività professionale e siano privi di altra copertura previdenziale.
Nell’animo dei farmacisti dipendenti e disoccupati, letteralmente vessati da ENPAF, c’è un misto di rabbia e disperazione per la violenza che ENPAF perpetra nei loro confronti.
C’è chi è costretto ad emigrare, chi a cancellarsi dall’ordine e ripiegare su qualsivoglia altro lavoro, chi deve fare costose trasferte solo per raggiungere i proverbiali “6 mesi ed un giorno” di lavoro con il solo ed unico fine di non perdere la riduzione del 3%, chi deve fare straordinari insostenibili esclusivamente per poter pagare le cartelle EQUITALIA/ENPAF…
Ma nei loro animi c’è anche, e sopratutto, grande determinazione e voglia di vedersi riconosciuti nella loro professionalità e nei loro sacrosanti diritti.
TUTTO QUESTO E’ ENPAF.
Comitato NO-ENPAF per farmacisti dipendenti e disoccupati: insieme si può!
Nella foto sotto è riportata la lettera che ricevono i farmacisti disoccupati che stanno per superare i 5 anni di disoccupazione.
Quello che emerge è che NON viene chiaramente spiegato nella lettera che la riduzione non viene persa se negli anni successivi al 5° di disoccupazione si lavora annualmente per più di 6 mesi e un giorno o per la metà più un giorno del periodo di iscrizione all’Albo.
Ad esempio: l’iscritto a gennaio 2019 lavora nei mesi interi di gennaio e febbraio, smette di lavorare il 1 marzo e poi a fine di marzo si cancella avendo quindi il requisito di lavoro per la metà più un giorno del periodo di iscrizione, e quindi non perde la riduzione.
Quindi: è previsto, ma non scritto chiaramente da nessuna parte, che esiste la possibilità di pagare la quota ridotta dell’85% o quella di solidarietà anche per brevi periodi lavorativi purché questi coprano più del 50% del periodo di iscrizione all’albo. Molti colleghi sono ignari di questo.
Perché ciò non viene esplicitato nella lettera?
Perché questa informazione deve essere estrapolata dal regolamento dall’iscritto o spesso non viene fornita da chi dovrebbe farlo?
In verità anche nel regolamento ENPAF non viene detto A CHIARE LETTERE che anche in caso di iscrizioni SUCCESSIVE alla PRIMA, dopo una cancellazione dall’albo, si può avere la riduzione, se in possesso dei requisiti, anche in un periodo limitato di iscrizione all’albo, all’interno di una anno solare.
Da un’interpretazione letterale del regolamento sembra non essere così: “Per avere diritto a chiedere la riduzione o il versamento del contributo di solidarietà è necessario che l’iscritto si trovi in una delle condizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del presente articolo per un periodo di durata pari, anche per sommatoria, ad almeno sei mesi e un giorno all’ interno dello stesso anno solare ovvero ad almeno la metà più un giorno del periodo di prima iscrizione.”
Si parla sempre e solo di PRIMA iscrizione…Molti colleghi quindi ritengono erroneamente, ma da un’interpretazione “letterale “del regolamento, che superati i 5 anni di disoccupazione in assenza di un lavoro superiore a 6 mesi e un giorno si paghi la quota al 50% e quindi o si allontanano dalla professione rinunciando a lavori di breve periodo, o rimangono iscritti all’albo tutto l’anno nella speranza di lavorare, ma dovendo poi pagare 2,200€ ad ENPAF da disoccupati o precari se non hanno lavorato per più di 6 mesi e un giorno.
Precisato tutto questo, ci chiediamo che senso abbia un regolamento così complicato e se in fondo un regolamento così pasticciato non serva ad ENPAF solamente a fare cassa. Questa norma “perdita bonus disoccupati” non danneggia i titolari di farmacia, ma danneggia i farmacisti precari, i disoccupati e i giovani che passano dalla quota ridotta o di solidarietà alla quota al 50%, e che spesso dopo i 5 anni di disoccupazione abbandonano la professione scomparendo dalle statistiche. Se si tenesse anche conto della disoccupazione dei colleghi che hanno superato i 5 anni, verrebbe fuori un quadro drammatico dei livelli occupazionali per i laureati in farmacia. Forse coloro che sono deputati a cambiare e ammodernare la nostra professione preferiscono dipingere quadri non troppo disastrosi con l’unico fine di mantenere lo status quo?
SOLO NEL 2018 SI SONO CANCELLATI PER VARI MOTIVI DAGLI ORDINI DEI FARMACISTI ITALIANI BEN 2474 COLLEGHI AL DI SOTTO DEI 60 ANNI.
Quando nel dopoguerra, in mancanza di un servizio sanitario e previdenziale generalizzato, vennero approvate ed incentivate le mutue per le diverse categorie professionali, fu un grande avanzamento sociale. L’introduzione della sicurezza sociale generalizzata, tramite l’INPS da un lato ed il Servizio Sanitario nazionale dall’altro, hanno reso superflui questo tipo di copertura previdenziale. Avrebbero potuto evolversi in forme volontarie, o mutualistiche, di previdenza integrativa ed alcune lo hanno fatto, ma altre si sono trasformate solo in una pietra al collo per i loro iscritti. Prendiamo il caso dell’ENPAF, Ente Previdenziale per i Farmacisti, sia lavoratori autonomi sia dipendenti. Perchè chi lavora in una farmacia come dipendente, almeno in teoria, iscritto all’albo dei Farmacisti, anche se per motivi economici, le farmacie cercano di affiancare normali commessi. Ora le norme dell’ENPAF furono scritte quando il lavoro, sia autonomo sia dipendente, del farmacista era altamente professionalizzate e remunerato. Quando l’élite di ogni paese italiano era composta dal dottore, dal sindaco, dal maresciallo dei carabinieri e dal parroco. Ora l’attività del farmacista è stata economicamente svilita dal moltiplicarsi delle concessioni rilasciate da uno stato affamato di denari e dal nascere di forme di distribuzione alternative. Ora se la copertura delll’ENPAF può avere ancora senso per i proprietari delle farmacie, questa risulta un peso fortissimo per chi lavora come dipendente: •prima di tutto il peso dei contributi ENPAF spesso è tale da quasi raggiungere una mensilità retributiva netta, mettendo in difficoltà gli iscritti dipendenti; •in secondo luogo in caso di licenziamento o di sospensione dell’attività subentra una sospensione, ma solo limitata a cinque anni, per cui un farmacista che abbia difficoltà a trovare lavoro rischia di dover pagare contribuzioni su un reddito che non percepisce. Le forme di riduzioni al 50% ed 85% sono infatti limitate nel tempo; •i contributi sono obbligatori, in caso di mancato pagamento si riceve una cartella, con quello che ne consegue; •I tempi previsti per la maturazione del diritto previdenziale, ultraventennali minimi, sono ormai poco compatibili con un mondo in cui la continuità lavorativa è un mito e già tre anni di versamenti sono spesso un obiettivo inarrivabile. Perchè viene mantenuta in vita in modo così restrittivo, una cassa di questo genere? Semplicemente perchè “Qualcuno” deve pagare le pensioni di chi ne usufruisce. Secondo quanto abbiamo saputo i circa 250 milioni di entrate, fra contributi del SSN e degli iscritti all’albo, non vanno in nessuna attività se non le pensioni e le spese di gestione, ma, nello stesso tempo, questo ente contributivo è diventato un peso insormontabile per la categoria. Nessuno ne vuole parlare, ma bisognerà pensare ad una riforma prima che un ente assistenziale si trasformi in una pietra tombale.
L’articolo di Fabio Lugano sulla condizione dei farmacisti dipendenti e disoccupati ed il loro rapporto con ENPAF
IL 9 APRILE 2019 NASCE il COMITATO SPONTANEO “NO ENPAF OBBLIGATORIO PER I FARMACISTI DIPENDENTI E DISOCCUPATI”.
La manifestazione del 9 Aprile in Piazza Montecitorio a Roma contro l’obbligo Enpaf per i farmacisti dipendenti e disoccupati ha visto la partecipazione dei colleghi da tutta Italia.
Durante la manifestazione è ufficialmente nato il Comitato e sono stati eletti Presidente il dott. Giancarlo Landi, Vice Presidenti. dott.ssa Patrizia Mallevadore e dott.ssa Arianna Scala.
In giornata una delegazione del Comitato è stata accolta dalla Senatrice Nunzia Catalfo Presidente della 11ª Commissione permanente (Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) e nell’incontro sono state illustrate le principali criticità Enpaf relative ai farmacisti dipendenti e disoccupati. Sempre in giornata è stata avviata dal Comitato una petizione online contro l’obbligo Enpaf, che in sole 24 ore ha raggiunto oltre 1000 sottoscrizioni. Per firmare:
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